“Anghì” non è un nome a caso. È un acronimo che testimonia una storia di condivisione. Contiene certamente le prime tre lettere del mio nome desueto (Angiolino) e le prime tre lettere di un cognome con cui ho fatto “arte a due”. Ma “Anghì” è anche il marchio con cui da 20 anni contrassegno il mio personale percorso che ha posto al centro del linguaggio espressivo il legno. Per storia: una casa in Val di Fassa, una cosa tira l’altra e sono giunto alla cassa armonica. Molti hanno cercato di spiegare il fascino misterioso della cassa armonica di uno strumento ad archi. Per quanto mi riguarda, mi sono solo lasciato conquistare da quella forma disegnando, tagliando, componendo centinaia e centinaia di parti.
La musica nasce con il legno, prima del pentagramma. E il suo suono ha bisogno del legno. Ho pensato che anche la sua rappresentazione avesse egualmente necessità di legno.
Recentemente mi sono messo ad imitare la perfezione dei liutai senza più comporre e rimandando in sequenza visiva un violino “comme il faut”, dalla sua cassamorta fino al manico. Un’opera racconta tutto questo, ancora imprigionata nelle morse: uno strato sopra l’altro, quattro piani visivi che permettono anche di vedere la nascita di un violino. Anche Stradivari era partito da questo legno e con lui i migliori liutai del mondo: perché i legni della val di Fiemme, che vengono lavorati in bottega da Anghì, sono gli stessi che hanno reso unici i violini italiani nel mondo, che mai sarebbero esistiti senza l’abete rosso. Il percorso che mi ha portato agli strumenti ad arco è passato prima dalle cattedrali e da altri strumenti, come le chitarre. Poi per tre anni solo violini, viole, violoncelli e contrabbassi. Qualcuno si è convinto che io suoni il violino. Nient’affatto. La musica nasce con il legno, prima del pentagramma. E il suono ha bisogno del legno. Ho pensato che anche la sua rappresentazione avesse egualmente necessità di legno.